Minacce razziste e pericolose, albanese in coma a Genova
Scritto da Blerina Korkaj
Non sono bastate la morte di Abba a Milano, l'aggressione dello studente ghanese a Parma, o quella del giovane cinese a Roma, per porre fine alla violenza sui migranti che dilaga in diverse città italiane, conseguenza diretta della cultura della paura verso lo straniero. Lo conferma l'ultima aggressione ai danni di un ragazzo albanese di 19 anni a Genova, mercoledì scorso. Il giovane aveva denunciato nei giorni precedenti l'aggressore per "minacce razziste" nella stazione locale dei carabinieri, ma la denuncia non è bastata per garantire la sua sicurezza e tutelare i suoi diritti. L'aggressore lo ha pestato selvaggiamente fino a mandarlo in coma al grido di "sporco albanese".
Sono stati etichettati in modi diversi gli episodi di razzismo accaduti nell'ultimo mese, declassandoli in fatti isolati che non riflettono la posizione della maggioranza della società italiana. La questione più grave relativa a questi episodi è la sordità delle istituzioni che sembra quasi una giustificazione indiretta di atti gravissimi che dopo pochi giorni cadono nel dimenticatoio. La società italiana sta cambiando ma ora è il momento di prendere coscienza di tale cambiamento e non usare più l'indifferenza come arma di paura. Non basta più dire "Io non sono razzista, ma..., pero...". Tutti insieme dobbiamo iniziare a dialogare ed ascoltarci per un futuro comune migliore, senza girare il capo dall'altra parte. Per vivere in una società più coesa e per dare un forte messaggio ai più impauriti bisogna fare un cammino condiviso. Come giustificheremo ai nostri figli un Italia impregnata dal razzismo, se non contribuiamo a migliorarla?! "Volevamo braccia e sono arrivati uomini" diceva Max Frisch. Basta leggere il best-seller di Gian Antonio Stella, "Quando gli albanesi eravamo noi", per comprendere meglio il mondo di questa frase. In una società travolta dal mutamento veloce e dal disorientamento, abbiamo bisogno più che mai di ascolto e comprensione reciproca. Per decidere chi vogliamo essere bisogna ricordarsi chi eravamo, scrive Stella, ricuperando una memoria storica che sembra andata persa: Quando gli 'albanesi' eravamo noi, espatriavamo illegalmente a centinaia di migliaia, ci linciavano come ladri di posti di lavoro, ci accusavano di essere tutti mafiosi e criminali; Quando gli 'albanesi' eravamo noi, vendevano i nostri bambini a girovaghi, gestivano la tratta delle bianche, seminavano il terrore anarchico ammazzando capi di stato e poveri passanti ed eravamo così sporchi che ci era interdetta la sala d'aspetto di terza classe; Quando gli 'albanesi' eravamo noi, ci pesavano addosso secoli di fame, ignoranza, stereotipi infamanti; Quando gli 'albanesi' eravamo noi era solo ieri!Gian Antonio Stella non fa altro che svelare l'altra faccia della grande emigrazione italiana con le tragedie e le discriminazioni subite da intere generazioni. Quell'Italia rimossa per ricordare solo gli "zii d'America" arricchiti e vincenti. Una testimonianza indispensabile per non dimenticare come l'arrivo degli emigrati italiani con i loro fagotti, le loro donne i loro bambini, veniva accolto dai razzisti dell'epoca con lo stesso urlo che si sta diffondendo in diverse città, oggi, a distanza di più di 100 anni.
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